Questi poveri papà!

Visita dalla pediatra qualche settimana fa.
Guai a perdermene una.

Citofono.

“Salve, sono il padre di Noah, abbiamo appuntamento!”

“Buongiorno. Prego, accomodatevi”

L’assistente si affaccia dalle scale e guardandomi, dice prontamente:

“Il padre aspetta fuori!”

Che meraviglioso incipit! Credo che questa sia la frase che abbia sentito più spesso nel corso degli ultimi mesi.

“Ok. Ormai ci sono abituato” ribatto sorridendo.

In qualche modo l’avrò intenerita, perché subito dopo mi dice:

“Va bene, ok…si accomodi.”

Incredibile ma vero, ero dentro anche io!

“Questi poveri papà!” esclama.

“Poveri papà davvero…” penso tra me e me, mentre carico come un mulo, faccio il mio ingresso nello studio.

“Ma resta fuori, in sala d’attesa! D’accordo?”, puntualizza nuovamente.

Avete presente ciò che si provava quando a scuola, un compagnetto sfoggiava per ricreazione il suo gustosissimo pacco di patatine ed impietosito dalla tua misera fetta biscottata con marmellata (si, mia madre ne era grande fan) te ne dava due, proprio contate?
Ecco, quella è grossomodo la sensazione che ho provato quando ho sentito quelle parole.

Ma va bene, siamo entrati, poco importa. Obiettivo raggiunto.

Una volta in sala d’attesa, mi faccio piccolo piccolo per paura di “disturbare” e intrattengo nel frattempo il “Nano” che, per la prima volta in questi mesi, non si dispera tra queste mura. Lo prendo in braccio e come sempre iniziamo a canticchiare, ballare e ridere, ridere, ridere.
Poi Giulia viene chiamata, ed accompagnandoli nella stanza, diligentemente chiudo la porta lasciando solo un piccolo spiraglio che mi permettesse quantomeno di origliare e sbirciare un pò all’interno.

Sono rimasto lì sul ciglio della porta fermo, immobile, cercando di non fare rumore, di essere invisibile.
Noah, con tempismo perfetto, decide di “battezzare” lo studio con i suoi “profumi”, così da quel piccolo spiraglio passo con disinvoltura tutto il necessario a Giuli per un cambio al volo, prima che la visita inizi.

Completato il lavoro, la dottoressa si alza per visitare il bambino steso sul lettino proprio davanti ai miei occhi, o meglio, davanti la fessura della porta.

Faccio un balzo indietro per non farmi vedere, ma mi becca lo stesso.

“Ah, c’è anche il Papà” esclama sorpresa!

“Perché non dovrei esserci?”, penso tra me e me, ma evito di dar voce al mio pensiero e con il tono imbarazzato di un bimbo colto in flagrante durante una marachella, dico:

“Buongiorno Dottoressa. Già, ci sono anche io!”

Lei mi guarda e stranamente mi sorride – non è infatti la persona più sorridente al mondo. Senza proferire parola spalanca la porta e voltandosi verso Giulia esclama ridacchiando:

“Questi poveri papà!”

Io ricambio il sorriso e la ringrazio. Mentre aspetto che inizi tutto, resto lì, impalato, felice finalmente di poter far parte anche io della “festa”, anche se a distanza.

Seguo con attenzione tutti i passaggi della visita incrociando di tanto in tanto lo sguardo della dottoressa. Ma è come se fossi trasparente.
Era chiaro infatti, che la mia presenza l’avesse meravigliata, ma non al punto da conferirne rilevanza.
Provo dunque ad avvicinarmi un altro pò, mettendo tutto il piede destro dentro la stanza. Inavvertitamente urto la porta e faccio un piccolo rumore.
Si voltano tutte a guardarmi un pò infastidite. Anche Noah si gira, ma a differenza loro mi sorride. Faccio allora un passo indietro, e torno al mio posto.

“Hai osato troppo”, mi dico.

Ascolto in silenzio lo scambio serrato di domande e risposte tra la pediatra e la mia Giuli. Addirittura, con un pizzico di audacia, cerco ogni tanto di intervenire, provando a dire la mia in relazione a qualche domanda “tecnica”.

“Quante volte mangia nel corso della giornata?”

“Si sveglia di notte?

Ma niente, la mia voce è come se cadesse nel vuoto mescolandosi ai rumori della stanza e al flusso della conversazione. Gli occhi della pediatra non si staccano dal bambino (giustamente!), mentre Giulia, che nel frattempo interloquisce con lei, mi guarda intenerita dal mio tentativo di partecipare alla chiacchierata. Conosce bene infatti, la mia sofferenza nel restare in disparte.

La visita scorre via veloce, finché la dottoressa ci accompagna alla porta, dandoci (dando a Giulia per dirla tutta) gli ultimi suggerimenti.

“Arrivederci” dice guardando Noah che stranamente le sorride.


Ora, questa storiella è un piccolo esempio di qualcosa che mi ha fatto da sempre molto riflettere. Probabilmente alcuni storceranno il naso ma voglio essere sincero. Non è semplice essere un “Povero papà” in questo preciso contesto storico, forse ancora di più rispetto al passato. “Ancora di più assai” se lo sei per la prima volta come nel mio caso.

Ai tanti e collaudati pregiudizi e stereotipi legati alla figura paterna, si associano ora divieti e preclusioni legate alle esigenze di contenimento del virus. Il ché ci sta, senza dubbio. Ne capisco genesi e ragioni, infatti non è per le restrizioni che resto perplesso, e da cui nascono le mie riflessioni.

Ciò che sinceramente mi perplime è ciò che, in realtà fin da bimbo non ho mai capito bene ne pienamente accettato, ovvero il perché possa esser dato per scontato che il papà sia assente (o comunque poco partecipe) ad una visita medica, piuttosto che alla recita dell’asilo, o ancora ai colloqui con maestre e professori. Insomma, che non viva appieno la quotidianità della famiglia e la crescita dei propri figli.

Chiaramente mi riferisco ad una “tendenza” generale (non ai singoli casi specifici, in cui è possibile trovare tantissimi esempi di meravigliosa partecipazione del papà) e principalmente al mio ambiente familiare, alla mia storia, ma anche – devo essere onesto – a molti contesti intorno a me che osservavo da piccolo e osservo tuttora, anche se per fortuna sempre meno. Sono circondato infatti da amici e padri strepitosi che condividono in toto la mia visione.

Il Luca bimbo molto spesso notava come sebbene anche la mamma lavorasse duramente ogni giorno, in un modo o nell’altro alla fine lei riusciva ad esserci, sempre.

Mio padre invece non c’era mai (o quasi), né per le cose di routine, come per l’appunto una visita medica, né per quelle più importanti.

Credetemi, non vuole essere un’accusa questa, quanto una “semplice” rilevazione statistica. Sottolineo questo aspetto perché è assolutamente decisivo per intendere correttamente la mia riflessione.
Non voglio infatti farne una colpa, anche se mi rendo conto che possa suonare così, soprattutto se come me tendi a pensare che quando ci apprestiamo a compiere o meno una qualsiasi azione, occorra sempre provare a riflettere circa le possibili “conseguenze” che questa, o la sua omissione, possa produrre.

Piuttosto, il mio obiettivo è sottolineare quanto questo modus operandi sia stato fino a non poco tempo fa un vero e proprio paradigma familiare, che sembrerebbe purtroppo essere ancora vivo (anche se in parte), se è vero che vi sia ancora gente, come uno dei nostri rappresentanti politici, capace ancora oggi di sostenere che (e cito testualmente):

“Il padre detta le regole, la madre accudisce”

(mi riferisco alle parole dette qualche giorno fa da un esponente di Fratelli d’Italia, tale Ciccioli, in relazione al ruoli dei genitori all’interno di coppie omosessuali:https://www.tpi.it/politica/padre-detta-regole-madre-accudisce-polemica-ciccioli-fdi-marche-20210224747879/).

Ciccioli e cazzate varie a parte, il Luca bimbo è poi cresciuto, ha vissuto, studiato ed imparato che in buona parte questa dinamica che mi appariva così strana ed inusuale, in realtà fosse anzitutto dovuta sia allo stretto legame “fisiologico” che fin dall’inizio si instaura tra il bimbo e la propria mamma, sia alla struttura patriarcale/evolutiva della nostra società. Biologia e tradizione culturale dunque strettamente intrecciate tra loro.

E’ chiaro ed evidente infatti, che la madre abbia un impatto, per usare un eufemismo, considerevole nel processo di crescita di proprio figlio e dal mio punto di vista, in natura non esiste nulla di più bello, forte ed emozionante di questo rapporto.
Ho amato e amo profondamente la mia Mamma e sono letteralmente folle della simbiosi tra Giulia ed il piccolo Noah.

Nonostante ciò, ancora oggi non ho mai accettato il perché si debba e si possa considerare “normale” o perlopiù accettabile l’assenza del padre lungo le tappe che accompagnano un bimbo verso l’età adulta.

Ecco perché sento con forza la necessità di affermare che io non voglio questo per Noah.

Non voglio essere l”assente giustificato”!

Escludendo infatti, tutti quegli elementi che per natura impediscono all’uomo di poter agire alla stregua di una madre (la meravigliosa esperienza dell’allattamento e del conseguente “attaccamento” in primis) desidero essere partecipe al 100% del suo sviluppo, affiancando, aiutando e sostenendo Giulia in questa lunga e difficilissima avventura che è l’accudimento e la crescita del nostro piccolo cucciolo.
Non voglio sostituirmi, né equipararmi a lei. Io devo essere altro, ma voglio essere parte integrante di questo processo, con compiti e ruoli differenti ovviamente, ma vivendone pienamente evoluzione e sviluppo.

Motore principale di queste parole, credo sia sopratutto la volontà di pormi un obiettivo diverso rispetto a quello che, evidentemente, ha mosso il mio e tanti altri padri prima di me.
E desidero custodirlo qui, fissandolo nero su bianco in queste pagine; un’autentica promessa che faccio sia a me stesso che a Noah.

Infatti, no, non mi interessa la ricchezza economica o un incredibile successo professionale, quanto invece la possibilità di poter stare davvero accanto alle persone che amo condividendo con esse tempo, esperienze ed emozioni. In una parola: viverle!
Questo non significa che non metta impegno o ambizione nel mio lavoro, che svolgo sempre con infinita energia e dedizione, ma che ho ben chiaro in mente che se questo debba in qualsiasi modo sacrificare il mio “Esserci-per-loro” (per dirla alla Heidegger), allora non è questa la strada che intendo percorrere per raggiungere la felicità mia e della mia famiglia.

Prima che nascesse il nostro Bubu reputavo un pò “scontati” e “banali” questi pensieri. Ma è dal 2 ottobre 2020 alle 02:48, un minuto dopo il suo arrivo che ho capito quanto sia complesso, nella “pratica” della quotidianità,  raggiungere tale traguardo.

Le nostre vite sono colme di distrazioni ed infiniti impegni a cui siamo vincolati visceralmente, e questo impone (almeno a me) di dettare un nuovo ordine di priorità alle “cose della vita” per consentire a lui, a me stesso e alla mia famiglia di vivere con felicità, amore e piena condivisione ogni nostro giorno. Questo è il sogno che quotidianamente cerco di cullare e alimentare per il mio piccolo Noah.

Magari così pian piano si riusciranno anche a superare i tanti stereotipi che ancora oggi sono legati alla figura di “questi poveri Papà”, e un giorno la nostra presenza alla visita dalla pediatra non sarà più una sorpresa!

4 pensieri riguardo “Questi poveri papà!

  1. I miei figli sono piu’ grandi, ma ho vissuto queste tue storie anche sulla mia pelle. Se per n motivi accompagnavo io i miei figli alla visita pediatrica, osservavo sempre comportamenti molto antipatici, scorbutici e diciamolo anche chiaramenti, densi di maleducazione. Credo che il problema di fondo sia la maleducazione dilagante. Se ti puo’ essere di un qualche sollievo, ho notato poi che la maleducazione, specie in questo settore, continua anche elevandosi, con questa categoria (certo ci sono sempre le pie eccezioni). In un mondo che ha sdoganato le soft skills, quasi a criterio di selezione dei posti di lavoro, esiste una categoria ben precisa che dovrebbe possederne una minima dose (empatia umana) data la professione, ma che sembra esserne totalmente esente. Il discorso si fa lungo. Tieni duro.

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    1. L’empatia, questa sconosciuta!
      Grazie mille per aver avuto la pazienza di leggere il mio post e per aver condiviso la tua preziosa esperienza.
      Esatto: dobbiamo tenere duro e provare in qualche modo a sovvertire l’attuale “sistema”. Sono certo che ce la faremo, come sempre con l’esempio e la perseveranza.
      A presto!

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      1. Si spera che le buone maniere e la buona educazione ritorni ad essere una priorita’ nei rapporti umani, specie in campo medico dove e’ uno dei pilastri. Auguri a te e alla tua famiglia per la grande avventura!

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