親 Oya

L’altro giorno sei caduto.

È stato una giornata di “prime volte” e di seria paura, tanto per te quanto per me e la Mamma.

Né tu, né tantomeno noi avevamo ancora avuto modo di vivere quest’esperienza e le emozioni conflittuali che ne derivano.

Dormivi nel tuo lettino, attaccato al nostro, ovviamente posto più in basso. Quando ti sei svegliato, con i tuoi tempi di “riattivazione immediati” (passi da zero a cento in un battito di ciglia) hai ben pensato di imparare una cosa nuova, arrampicandoti sul lettone. Una volta sú hai iniziato a gattonare (cosa che ormai fai alla velocità della luce) e sei caduto a terra dalla parte opposta, sbattendo la parte superiore della tua bionda testolina.

Pericolosissimo!

Io non c’ero, lavoravo, ma grazie ai racconti della Mamma è stato come se fossi lì, a sentire il tuo pianto sconsolato, quello di chi per la prima volta sperimenta paura, dolore e delusione per aver scoperto che questa vita non è fatta solo di grandi risate e gioie.

Grazie al cielo sei davvero una potenza ed è bastato farti vedere i nostri amati cagnolini per restituirti il sorriso.

Un bel bernoccolo ed un grande spavento, tutto qui, ma posso assicurarti che è stato sufficiente per farci trascorrere una giornata terribile, probabilmente una delle più brutte della nostra vita.

Penserai che come sempre esagero, ma no, non è così, non questa volta.

Quando la Mamma mi ha chiamato per dirmelo, mi si è gelato il sangue nelle vene. Mi sono sentito impotente, incapace e colpevole (di cosa poi…).E anche dopo aver capito che stavi bene e che non ti era successo nulla di grave, non è andata meglio.

Sono rimasto inquieto tutto il giorno. Scosso e angosciato dal rischio corso, dal fatto che ti sarebbe potuto succedere qualcosa di terribile. Mi si è palesata innanzi agli occhi una verità, meravigliosa ma al contempo molto dura da accettare. Un file rouge che, immagino, unisca ogni genitore di questa terra.

Improvvisamente ho realizzato che non sei tu ad esser dipendente da noi, ma che in realtà si tratta esattamente dell’opposto. Siamo noi a dipendere da te, dal tuo crescere sano, sereno e felice.

Si, tu hai bisogno di noi per ogni cosa (per adesso!), ma questo è transitorio, passeggero. Ciò che resterà per sempre invece è la nostra esigenza di vederti e saperti felice ed in salute. È questo ormai il presupposto basilare per la mia felicità, nient’altro ha la stessa rilevanza. Qualsiasi altra cosa infatti quasi non importa, viene dopo, molto dopo. E sebbene questo pensiero sia frutto di un amore incommensurabile, non ti nascondo che mi ha molto spaventato. Non perché non ci avessi pensato prima, ma perché per la prima volta ho intravisto concretamente l’altra faccia della medaglia, ho potuto percepire l’angoscia e la paura che deriva dall’averti saputo in pericolo.

Essere genitore è meraviglioso, di gran lunga la decisione migliore che abbia mai preso, ma implica la necessità di subordinarsi alla vita che si mette al mondo, diventarne responsabile ma anche di affidare il proprio cuore, se non la propria stessa vita a qualcuno di esterno a te stesso. È come se l’IO si sdoppiasse e parte di esso andasse ad abitare nel corpo e nell’anima di questa nuova vita, che per quanto possa esserti vicina e visceralmente legata, sarà comunque da TE separata e diversa. Diventare genitore e amare proprio figlio, così come ho deciso di amare te mio piccolo Noah, significa donare per sempre se stessi affinché questo legame diventi un seme di speranza, un ponte per il futuro.

Sono pensieri questi perlopiù inconsci e automatici per i più. Non credo sia giusto e possibile riflettervi a lungo, né prima di avere un figlio, né tantomeno dopo. Il rischio è quello di rimanere paralizzati innanzi miliardi di paure che fanno del male a tutti, facendo vivere in preda ad ansie che possono solo limitare la crescita personale e le esperienze necessarie ad ognuno. Credo invece sia più giusto (almeno per me), aver vissuto le emozioni di questa giornata, con coscienza e pienezza, per poterle riporre nella mia memoria con la consapevolezza di chi sa bene che di cadute ce ne saranno molte altre, che purtroppo ti “potrai fare del male” (nel senso più universale del termine) e che io non potrò essere sempre lì ad evitare che questo avvenga. Il mio compito dunque è quello di accompagnarti lungo il tuo percorso, donandoti tutto di me affinché tu possa accoglierne ciò che per te sarà utile e indispensabile per crescere ed edificare te stesso, altro da me sì, ma custode del mio amore, per sempre.

Qualche giorno fa ho letto con interesse un post pubblicato dalla mia cara amica Giada, che spiegava il vero significato di genitore in Giapponese,”親 Oya”, prendendo spunto da un testo dal titolo:”Wa, La via giapponese all’armonia” (Vallardi Editore). Ne riporto di seguito un estratto che ben esplicita e riassume il tutto.

Nel carattere di«oya» 親 , in alto a sinistra, c’è «tatsu» 立つ che è un verbo che significa «stare in piedi, alzarsi», in basso c’è «ki» 木 l’«albero» e a destra si erge «miru» 見る ovvero «vedere, guardare».
Svoltolando i vari componenti, ecco che la frase si ricostruisce così: «Oya no yakuwari wa, ki no ue ni tatte miru koto da» 親の役割は、木の上に立って見ることだ ovvero «Il compito di oya, il genitore, è di salire sull’albero e da lontano stare a guardare».

La spiegazione di cosa sia un genitore è quindi già nella parola: è colui che deve intervenire solo quando davvero necessario. Per non sostituirsi mai al proprio figlio, per non intralciare il corso degli eventi, a oya, il genitore, spetta soprattutto l’osservazione a distanza, la supervisione discreta.

Sembra semplice, ma non lo è affatto!

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